gli Embryo a Genova

Gli Embryo sono un gruppo leggendario nella storia del Kraut-rock. Praticamente in tour semipermanente da più di quarant'anni, sono la creatura di Christian Burchard, percussionista, vibrafonista, salterista (questo è un bruttissimo neologismo, ma suona il salterio!). Mi ricordo abbastanza nitidamente di un loro concerto a Loano nel Marzo del 2002; fu un continuum di improvvisazioni, con strumentisti che ruotavano continuamente, un incontenibile Burchard al salterio e un bravissimo sassofonista.
Ricordo un pubblico sparuto, con qualche viso perplesso; altri, invece, sembravano illuminati dalle idee in libertà, dal flusso continuo, da quell'essere "freak" senza apparire decrepiti. Feci tesoro dell'esperienza del concerto, la portai con me e dentro di me. In quei giorni stava nascendo e prendendo forma Fungus; la prima incarnazione del gruppo aveva una grossa predominante "free", nonché una piccola, ma importante, componente etnica, con un chitarrista che si dedicava anche all'oud e alle percussioni.
Dieci anni dopo arriva la chiamata di Disorderdrama: "volete suonare con gli Embryo?". Mi prendo il tempo di respirare, e qualche minuto per sentire il gruppo. La risposta è sì. Suoneremo senza Claudio, tastierista nomade: in quei giorni sarà a Bruxelles.
All'arrivo, già siamo stupiti di quanti siano gli Embryo: il fulcro attorno cui tutto ruota è Burchard, ma nella sua orbita gravitano diversi giovani e meno giovani polistrumentisti, su cui spiccano la solare figlia Marja, che si alterna a tastiere, vibrafono, trombone e batteria e il curioso vocalist, capace di emettere potenti e stranianti suoni con il solo ausilio delle corde vocali. Gli Embryo spesso aggregano alla band musicisti locali: qui in Italia hanno il supporto di un psichedelico flauto (Andrea Monetti) e di una jazzosa tromba (Carlo Mascolo).
Apriamo noi Fungus, ed è una gioia essere qui; il nostro set lascia volutamente un po' più di spazio all'improvvisazione (come ai vecchi tempi!), in onore dei nostri "zii".
Poi, i teutonici; iniziano a volumi molto bassi, è necessario il silenzio per udire le sfumature; l'esperienza è di concentrazione collettiva, quasi mistica. Il gruppo improvvisa, a volte si disunisce per poi ricongiungersi, tutto rimane sospeso ed etereo. Dopo un paio di brani, si vira, il gruppo "ruota" e si ritorna ad atmosfere più vicine alle origini seventies del gruppo, una sorta di jazz-kraut mai autocompiaciuto. Vederli e ascoltarli è un piacere vero, sembra di assistere ad un rito in nome di una certa idea di musica. Questa idea vive ancora.

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